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TUTTI GLI INTERVENTI

Per capire la crisi basta una banconota da venti dollari

di Simon Schama

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17 maggio 2009

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Come Jefferson, che per quasi ogni altro aspetto aveva una mente più raffinata, Jackson giunse a ritenere la cartamoneta al meglio l'inaffidabile creatura di un capriccio finanziario (chi ci faceva affidamento non sapeva mai quanto ne avrebbero potuto scontare) e al peggio lo strumento prediletto di una cospirazione per rendere schiavi attraverso il debito. Le monete d'argento avevano circolato nel paese prima e dopo l'indipendenza, e per le transazioni, un populista altrettanto sincero di come lo descriveva la sua pubblicità elettorale, preferiva qualcosa che si potesse mordere. Perciò da presidente Jackson ingannò volutamente il paese sui mali della Banca monopolistica degli Stati Uniti, proclamò che non era soltanto un'interposizione anticostituzionale tra il governo eletto e il popolo, ma anche che era venuta meno alla sua responsabilità di creare una cartamoneta fidata in tutta la repubblica.
Date le condizioni instabili dell'America attorno al 1830, la carta stampata dalla Banca degli Stati Uniti era di gran lunga il mezzo di transazione più affidabile dal Maine alla Louisiana. Ma Jackson era convinto che la Banca doveva morire, altrimenti la democrazia americana sarebbe sempre stata infettata dalle sue macchinazioni. Era in corso una lotta tra valori rurali e urbani, e in palio c'era l'anima economica del paese. Per certi versi era uno scontro altrettanto portentoso di quello tra il Sud schiavista e il Nord libero, perché andava al cuore di quello che l'America doveva essere: un luogo di piccole comunità rette dalla semplicità e dalla trasparenza, o una macchina autonoma di crescita economica e di potere illimitato: Field of Dreams o Citizen Kane?
Jefferson, di cui Jackson affermava di essere un apostolo, aveva indicato la linea: nella genuinità del paese risiedevano le forme più pure della virtù sociale. «Coloro che lavorano la terra sono i prescelti da Dio», aveva dichiarato in una delle sue fulminanti escursioni nella pietas. Le città d'altro canto erano paludi "pestilenziali" di seducente lusso. Ma Jackson superò il suo maestro. Non era così ingenuo da immaginare che l'indebitamento accumulato in due guerre americane contro gli inglesi sarebbe scomparso da sé e capiva, a modo suo, la necessità di una banca centrale per gestire i titoli senza i quali il governo non sarebbe stato in grado di operare (un quarto del debito nazionale era in mani straniere). Ma per sovrintendere a tali operazioni credeva anche che il Tesoro, sotto il controllo di designati eletti, fosse l'ente più democratico. Così fece della liquidazione della Banca degli Stati Uniti un perno della propria presidenza.
Distruggendo la Banca, Jackson sperava di liberare la repubblica di quello che, insisteva a dire, era la grande truffa della cartamoneta. Nel discorso di commiato, parlò con eloquenza della necessità di preservare l'Unione contro il separatismo Nord-Sud che la minacciava, ma parlò con accalorata passione del "sistema della cartamoneta". Con riferimento allo scontro con Biddle, disse al popolo americano di «eventi recenti» i quali «hanno dimostrato che il sistema della carta moneta poteva essere usato come un motore per minare le vostre libere istituzioni... Coloro che desiderano governare con la corruzione o con la forza sono consapevoli del suo potere e pronti a usarlo».
La carta incoraggiava la speculazione; la speculazione rendeva i cittadini schiavi dei monopolisti della banca e a soffrirne erano le «ossa e i muscoli» del paese, «uomini che amano la libertà e non desiderano altro che uguali diritti e uguali leggi», «le classi agricole, meccaniche e lavoratrici della società». La stretta della banca centrale che poteva rendere «il denaro abbondante o scarso a suo piacimento» era una deriva dispotica per la quale le libertà americane valevano meno della carta su cui il denaro stesso erano stampato.
La Banca degli Stati Uniti era morta, ma guai agli Stati Uniti se mai ne fosse rinato un successore, un agente attraverso cui gli "interessi monetari" avrebbero potuto tirannizzare l'onesta maggioranza! La nascita del successore – la Federal Reserve alla cui buona fede e al cui credito oggi presta il volto Jackson – tardò fino al 1913. I poteri che secondo lui sovvertivano le libertà dei molti "onesti", vale a dire la capacità di regolare l'offerta di denaro, sono oggi ritenuti indispensabili alla nostra sopravvivenza finanziaria. La differenza è che mentre la Fed è un'istituzione pubblica, la Banca degli Stati Uniti non lo era. Tuttavia, Jackson disapproverebbe proprio la qualità più apprezzata della Fed: la sua indipendenza dal Tesoro. In una vera democrazia, pensava, la responsabilità politica e finanziaria doveva essere una. Ma la creazione della Fed alla vigilia della Prima guerra mondiale doveva parecchio alla sopravvivenza della retorica jacksoniana contro l'"interesse monetario".
Sebbene J.P. Morgan e John Rockefeller avessero agito per il bene pubblico – avevano fornito l'occorrente per prevenire un collasso totale del sistema finanziario nel 1907; Morgan rimettendoci 21 milioni di dollari – le delibere a porte chiuse destavano preoccupazioni e permaneva il sospetto che la crisi fosse stata architettata perché i magnati potessero impossessarsi della Tennessee Coal and Iron Company a prezzi di saldo. Paradossalmente, l'oro che Jackson riteneva la difesa dell'uomo comune contro la frode plutocratica era ora il bersaglio dell'ira populista. Di nuovo, la contesa era tra la campagna e la città, la fattoria e la banca. All'epoca l'America Uniti era ancora un importatore netto di capitali, e da come la vedeva J.P. Morgan, sarebbe cresciuta e avrebbe prosperato soltanto finché avesse attratto investimenti stranieri, inglesi soprattutto.
  CONTINUA ...»

17 maggio 2009
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